Le riflessioni di questi ultimi giorni sono state molto incentrate sul buio e la luce, nel mio ondivagare incerto tra situazioni e circostanze che si ripresentano simili e in cui mi sembra di ricadere ripassando dal via come al Monopoli, senza aver fatto nessuna strada.
Duro e intransigente il giudizio che spesso rivolgiamo a noi stessi, spietati ufficiali della nostra vita pronti a sentenziare e a dividere con un’accetta ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, senza alcuna possibilità d’uscita.
Non si può fermare il tempo?
È questo che mi sono chiesta in diverse occasioni, con la speranza che bloccare lo scorrere dei giorni ponesse fine alle paure e alle domande che continuano ad animarmi sul volgere finale di questa esperienza a Zanzibar.
E ancora mi sono domandata: perché vorrei fermare il tempo?
Beh, perché senza ombra di dubbio è più facile stare sul noto, sul conosciuto, su una quotidianità che ormai mi è familiare rispetto ad avere a che fare con la paura dell’incognito, del buio, di cadere ancora, di tutto quello che sarà.
Ho ripensato alle assonanze che ho riconosciuto tra il mio viaggio a Bali quasi due anni fa e questo ancora in corso. Ho capito quanto sia destabilizzante per me all’inizio trovarmi senza punti di riferimento, in contesti e tra modi di vivere diversi dove le contraddizioni danzano tra loro. Da una parte un mondo sempre più globalizzato che sembra voler annullare le differenze all’insegna di una patina dorata di luci, colori, luoghi a favore di turismo e delle migliori fotografie social; dall’altra quella che io chiamo “la vita vera”, intesa come l’insieme delle caratteristiche intrinseche del luogo, le abitudini e le tradizioni, il vivere quotidiano delle persone.
E ogni volta che viaggio mi sento avida nel voler capire di più, osservare, interrogarmi, scoprire nei luoghi gli anfratti più profondi di me stessa e della mia anima. Mi rendo conto che faccio meno fatica a entrare in comunicazione con i posti rispetto alle persone e che trovo più semplice lasciare che sia la natura a parlarmi e guidarmi perché è in lei che mi rivedo e trovo maggiore conforto.
O forse perché così non ho la possibilità di conforto e di un eventuale dibattito o contradditorio…
Luci e ombre
Tra sabato 29 e domenica 30 marzo si è celebrato a Bali il Nyepi, conosciuto anche come “giorno del silenzio”. Leggo su Wikipedia che si tratta del primo giorno di luna nuova a marzo che segna l’inizio del nuovo anno. In queste ventiquattro ore l’isola si ferma totalmente: nessuno esce di casa, nessuna luce artificiale, nessun viaggio, lavoro o attività. Anche l’aeroporto di Denpasar chiude.
Un giorno intero in cui le persone si dedicano al raccoglimento, alla riflessione, alla meditazione. Una tradizione induista che, dopo i giorni precedenti di processioni in strada con gli Ogoh-ogoh (pupazzi che rappresentano demoni e spiriti malefici), serve a riportare equilibrio e armonia, oltre a una vera e propria purificazione dell’isola.
Un giorno che vorrei ci fosse ovunque nel mondo perché avverto quanto ce ne sia bisogno.
E mi stupisce ora che lo scrivo (ma neanche troppo) che c’è sempre la luna che ritorna, che illumina, che alterna le sue fasi e i suoi momenti e poi sempre ritorna.
C’è la luna a ricordarmi che siamo una danza tra luci e ombre, che siamo ciclici anche noi, che tra una luna nuova e l’altra esistono tanti altri passaggi intermedi e non è mica tutto bianco o nero, pieno o vuoto.
Mentre camminavo tra i sentieri bui l’altra sera con la torcia del cellulare accesa ho fatto un balzo perché mi è sembrato di scorgere qualcosa a terra per poi accorgermi che era la mia stessa ombra. Mi è venuto in mente il modo di dire “hai paura della tua stessa ombra” e ho pensato a come mi sia stato trasmesso, in modo severo e a tratti accusatorio negli anni, il messaggio di essere forte e non aver paura di niente. Come se non ci fossero motivi abbastanza validi per temere. Temere che cosa poi?
E invece quanta paura abbiamo di noi stessi? Di essere splendidi e splendenti oltre misura?
La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura.
È la nostra luce, non la nostra oscurità, a terrorizzarci maggiormente.
Noi ci chiediamo: chi sono io per essere così brillante, stupendo, pieno di talenti e favoloso?
In realtà chi sei tu per non esserlo?
Non c’è niente di illuminato nel ridursi perché gli altri si sentano insicuri intorno a te.
E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare la stessa cosa.
Nel momento stesso in cui siamo liberi dalle nostre paure, la nostra presenza libera automaticamente gli altri.
(Non so se queste parole siano realmente di Nelson Mandela o attribuite a un’altra autrice ma mi sembrano opportune rispetto a questo mio vagare perpetuo tra luci e ombre).