Mi dico di essere cambiata tanto negli ultimi anni, non so quanto possa essere stato percepito intorno ma io lo credo veramente. Mentre prima ero totalmente incentrata sull’esterno e attribuivo il mio malessere e la mia insoddisfazione a qualcosa fuori da me, pur non totalmente codificabile, oggi so di essere molto più consapevole di me stessa e dei miei processi interni e cerco di essere maggiormente responsabile verso ciò che accade.
Però… eh però ci sono quei giorni in cui l’irresistibile tentazione di trovare un colpevole e un capro espiatorio quando qualcosa va storto è fortissima. Oggi è uno di quelli.
Niente di particolarmente grave o rilevante, ma una somma di piccolezze che sembrano non andare per il verso giusto e che condizionano irrimediabilmente umore e stato d’animo. E più mi trovo immersa in queste sensazioni più mi è difficile uscirne e tutto sembra ovviamente ingigantirsi e amplificarsi.
Vista dall’esterno tutta la situazione appare anche sostanzialmente buffa ma guai a voler ridere di me, sdrammatizzare o prendermi un po’ in giro in quei momenti perché potrei diventare una belva e sbranare qualcuno. Fortuna mia e altrui in questo periodo della mia vita questo rischio non è contemplato ma è utile saperlo e ricordarsene, adesso e per il futuro.
Il bello è che oltre a sbuffare, lamentarmi, inveire ad alta voce e prendermela con non si sa chi, mi arrovello cercando la causa di tutto questo. Come se sapere il motivo potesse in qualche modo attenuare questo malessere. E allora passo il tempo domandandomi se magari a condizionarmi è qualche sogno che ho fatto la notte scorsa e che non ricordo, il cielo grigio, l’avvicinarsi della luna piena, qualcuno di poco gradito che mi sta pensando, il mio ciclo mestruale. Niente. Nessuna opzione è abbastanza appetibile e sicura da potermi finalmente acquietare e mettere l’anima in pace.
E mi stupisce ogni volta assistere quasi inerme alla battaglia che si agita dentro di me tra quella parte che si sente depredata (di cosa?), vittima di ingiustizia e che ce l’ha con il mondo intero e quella più calma, razionale (adulta magari?) che tende a ridimensionare. È buffo come delle cose piccolissime e prive di qualsiasi significato (un centralino cui dover chiamare ossessivamente prima che risponda, una ricetta medica scaduta proprio l’altro giorno, un medicinale acquistato sotto forma di boccette anziché bustine sono gli esempi odierni) diventino improvvisamente questioni di vitale importanza, principi irrinunciabili a cui appellarsi per un senso di giustizia interno e di pace.
Perché lo scrivo qua oggi se avevo in mente di sedermi e raccontare tutt’altro? Beh, innanzitutto perché digitare sulla tastiera queste parole è come sempre terapeutico e aiuta a prendere le distanze e osservarmi con più lucidità e poi perché può essere un piccolo spunto di riflessione condivisa. Chi, almeno una volta, non si è sentito sovrastare da emozioni forti e apparentemente incontrollabili o in balia di umori neri legati a fatti davvero poco significativi? E tutti intorno e noi stessi a dirci che “i problemi veri sono altri”, certo, lo sappiamo, però questa frase in quei momenti non fa che peggiorare la situazione.
Forse quello che mi rende così insofferente in queste situazioni è rendermi conto che non sono del tutto immune a quegli stessi schemi e abitudini che sono fiera di aver abbandonato e che può capitare di rientrare nella spirale negativa in cui l’universo intero sembra avercela contro di noi e ci sentiamo vittime impotenti di chissà quali cospirazioni e trame oscure.
Forse tutto questo è legato anche al bisogno di controllo e alla calda rassicurazione che fornisce il sapere che tutto va per il verso giusto, che non ci sono intoppi, imprevisti, cose che non vanno, che tutto funzioni sempre come si deve (leggi perfezionismo e rigidità). Come se non dovesse mai esserci nessuno sbaglio.
Forse è anche lo spostamento del focus verso qualcosa di banale e irrilevante per distogliere lo sguardo da ciò che davvero si agita dentro di noi e che siamo incapaci di decifrare. Perché è vero che leggiamo sempre più spesso frasi del tutto condivisibili sul conoscersi, capirsi, domandarsi quello di cui si ha bisogno ma poi, concretamente, quanto è difficile realizzarlo e farlo con costanza?
E anche in questo caso forse non sono tanto le risposte la chiave quanto le domande che ci poniamo e l’atteggiamento e il modo con cui ce le facciamo. Perché nella miriade di pensieri quotidiani, connessioni e stati d’animo spesso fluttuanti da cui siamo attraversati è tutto immensamente variabile.
A che mi serve rispondere a qualcosa che un attimo dopo è già mutato? Forse vale più la pena imparare a navigarci in questo mare, attrezzarci per non perdere la rotta, per dirci che sì, ci sono giornate (o meglio, momenti) davvero pesanti, ci sono piccolezze che sappiamo essere insignificanti ma che alcune volte ci alterano come non mai. Ok, c’è tutto questo. Lo sappiamo e non possiamo cambiarlo. Però forse possiamo diventare un po’ più bravi a notarlo, circoscriverlo, riconoscerlo il che non eviterà che in futuro mi infuri per banalità o stia male senza apparente motivo, ma magari cambierà la frequenza di tutto questo e l’atteggiamento con cui affrontarlo.
E a ben vedere è un po’ questo che forse mi porto dietro oggi: che quelle giornate NO che prima erano all’ordine del giorno oggi sono quasi un’eccezione, che capitano sì e capiteranno ancora, ma non determinano quella che sono e ciò che decido di fare.
E sarebbe anche bello dircelo e condividerlo quali sono i personalissimi strumenti che ognuno di noi ha elaborato o sta sperimentando (perché qua si va per tentativi ed errori) per fronteggiare situazioni, emozioni e stati d’animo con cui si fa fatica a stare. La personale cassetta degli attrezzi per i momenti NO.
Io per esempio so benissimo che in giornate come questa avrei bisogno e dovrei sedermi sul tappetino per respirare e calmare la mente ma proprio non ce la faccio e più lo so più evito di farlo. Però so anche che quando sono estremamente triste ho bisogno di cullarmi e crogiolarmi in questa tristezza e allora tempo fa ho creato una playlist apposita, dall’eloquente titolo di Sadness, che mi accompagna nel pianto fino a quando non mi sento un po’ meglio. E poi c’è la scrittura. Quando sento che è tutto troppo e non riesco a contenerlo (nel bene e nel male) mi viene abbastanza spontaneo prendere carta e penna e scrivere.
In altri casi probabilmente devo ancora imparare a capire come gestire e regolare ciò che sento e si agita dentro. È lì che la lamentela e lo sfogo possono rivelarsi una risposta immediata, lì per lì necessaria e liberatoria rispetto a ciò che di piccolo o grande ci affligge, ma è un sollievo illusorio che per me svanisce subito lasciando posto all’amara constatazione che lamentarmi non cambierà le cose ma si tratta semmai di un consumo inutile di energie e di un abbassamento della mia spinta vitale. Stamattina l’ho fatto dopo tanto tempo: ho inveito contro il nulla, mi sono lamentata da sola camminando per strada e dopo mi son sentita semplicemente peggio.
La giornata è andata avanti, ho scritto qui, ho lasciato in pausa, ho ripreso. E ho riflettuto su come sia faticoso a volte scontrarci con la frustrazione di non avere tutto subito come vorremmo, di avere a che fare con sbagli, imprevisti o inefficienze che non dipendono da noi. Quanto siamo in grado di tollerarli o meno dipende ovviamente dallo stato d’animo del momento e dalle personali condizioni che ognuno sta vivendo.
E questo non ci autorizza a sbraitare con gli altri solo perché si sta male e si è in un periodo difficile ma anzi dovrebbe spingerci verso una maggiore comprensione reciproca, anche rispetto a ciò che ci fa storcere il naso o che ci risulta incomprensibile. Che non significa accettare tutto indistintamente ma ricordarci che ognuno ha una propria personalissima prospettiva e momento di vita e va rispettato. Nel mio piccolo posso provare a essere ogni volta un pochino più indulgente, con me e con gli altri. E se me ne dimentico o non ce la faccio ricordarmi che posso sempre riprovarci.
Sei umana 🙏