L’altra mattina mi sono svegliata con la voglia di cercare l’etimologia della parola “cuore”. Spesso mi capita di soffermarmi su alcune parole, sentire che risuonano in me e desiderare andare più a fondo, cercando di capire perché proprio quella parola, quali emozioni mi suscita e come può essere correlata a quel particolare momento di vita.
Così ho scoperto che la parola cuore deriva dalla radice indoeuropea krd con il significato di vibrare, balzare, saltellare.
Cos’è che fa vibrare il tuo cuore?
Trovo l’immagine del vibrare decisamente appropriata per tutte quelle volte in cui sentiamo un sobbalzo nel petto, qualcosa che ci smuove, ci colpisce, che tocca le corde della nostra anima.
In questa esperienza a Zanzibar mi sono interrogata a lungo rispetto ai modi in cui ogni persona entra in contatto con luoghi, situazioni e contesti differenti. Ho osservato e continuo ad osservare cercando di non cadere nella trappola del giudizio e rendendomi conto di quanto fatico a esserne immune. Cerco allora di notare come facilmente si attiva in alcune situazioni rispetto ad altre, che è già un indizio prezioso per me.
Ho sofferto, soprattutto inizialmente, nel notare la leggerezza di approccio nello stare qui da parte di tante persone, tacciandomi al contrario di pesantezza, rigidità, incapacità di godere davvero di quello che stavo vivendo.
Ma poi mi sono chiesta: è davvero così?
O forse la vera domanda da pormi è: voglio continuare a interessarmi agli altri o preferisco piuttosto concentrarmi su di me e su come io mi immergo nella vita?
Oltre l’immagine
Qualche giorno fa ho riletto questo passaggio tratto dal libro di racconti “Gli amori difficili” di Italo Calvino:
Basta che cominciate a dire di qualcosa: "Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!" e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.
Trovo tuttora incredibile come parole pubblicate nel 1970 possano essere così attuali.
Mentre passeggiavo nella strada qua intorno per andare a scuola ho perfettamente realizzato come nessuna foto e nessun video potranno mai render giustizia a quello che sento e che provo in certi momenti.
Sentire il cinguettio degli uccelli, vedere le farfalle bianche e nere che svolazzano intorno, galline e pulcini che si insinuano tra i cespugli spuntando fuori all’improvviso, la terra polverosa su cui cammino, le lenzuola e i panni stesi fuori ad asciugare, il sole cocente sulla testa fin dalle prime ore del mattino, le persone che vanno al pozzo per prendere l’acqua e bambine e bambini che si bagnano e giocano lì attorno.
La bellezza di queste immagini per me è impagabile ma non si tratta solo di questo: è quello che scatenano dentro di me, è quello che vibra al mio interno e che fa sentire vivo il mio cuore.
Tutto ciò è qualcosa che già possiedo e che mi accompagna a prescindere dal luogo in cui mi trovo perché fa parte di me ed è la mia natura.
Collezionare istanti
Nella disperata e ossessionata ricerca della felicità quanto siamo capaci di renderci conto della preziosità di alcuni attimi e riuscire a conservarli puri e intatti nel nostro cuore? Perché quello che mi rasserena e che mi dà pace è riempire il serbatoio interno di piccoli istanti appaganti che mi riconciliano con me stessa e con il mondo.
Sono passati tantissimi anni da quando dopo una giornata decisamente faticosa a lavoro il mio amico Andrea mi aveva consigliato la visione del film Elizabethtown per risollevarmi il morale.
Oltre ad avermi strappato lacrime catartiche e sorrisi mi era rimasta particolarmente impressa la modalità con cui la protagonista immortalava gli attimi preziosi utilizzando le dita a mo’ di macchina fotografica e questa modalità giocosa l’ho usata talvolta anche io per ricordare la bellezza di ciò che stavo vivendo.
Quanto siamo allenati a usare il nostro obiettivo fotografico interiore? Siamo solo capaci di usare lo smartphone per cogliere lo scatto perfetto? Quanto il mirino del nostro cuore riesce a puntare dritto su ciò che fa breccia in noi e ci ridesta dal sonno?
Sta tutto nei dettagli
È questo che mi è venuto in mente assistendo l’altro giorno a una messa in cui alcuni particolari hanno causato in me uno scossone emotivo. O una vibrazione, se vogliamo riferirci al cuore.
Notare il manico di legno un po’ storto della campana poggiata sul cemento vicino all’altare; assistere all’offertorio e alla semplicità con cui si portava ciò di cui c’era bisogno, come una busta di detersivo e un secchiello di ostie; il coro a più voci e la ragazza che lo guidava con naturalezza e passione come fosse quello lo scopo della sua vita; la scritta shukrani (“grazie”) sulle scatole di legno per raccogliere le offerte; assistere alla devozione e alla partecipazione autentica della comunità.
Sono i dettagli che fanno la differenza ed è la nostra capacità di coglierli e di utilizzarli per cambiare la prospettiva da cui osserviamo le cose.
Perché tutto ciò che ci accade non è altro che il frutto di una continua narrazione e della storia che scegliamo di raccontarci giorno per giorno. Siamo noi gli autori e siamo noi che possiamo decidere in qualsiasi momento di cambiarla. Vorrei non dimenticarmene e vorrei che fosse lo stesso anche per voi.
Intanto mentre osservo il mare:
mi perdo in questo azzurro continuando a stupirmi ,con gli occhi avidi di questa meraviglia. L’acqua brilla e io provo a splendere insieme a lei.
Il sentire non è una condanna ma un dono.
Ancora tanti e tanti complimenti 👍 sempre più appassionante mi prende sempre di più ❤️un abbraccio fortissimo e alla prossima puntata 😘