Più passano i giorni più diventa difficile scrivere e continuo a procrastinare. Una riflessione dell’ultimo periodo ha riguardato la capacità di accorgermi quando parte il “frullino” (così l’ho soprannominato) dei pensieri in testa che mi proietta in un batter d’occhio nel rimuginio, persa tra passato e futuro. Fermarlo è impossibile, la funzione della mente è proprio quella di pensare. Ciò che posso fare e accorgermene e valorizzare l’ORA.
Hic et nunc
Sono qua proprio adesso a scrivere e provo a farlo, con il carico di dubbi e di fatica che comporta. Perché tantissime volte a bloccare le azioni e perpetuare il rimandare è proprio la paura di sbagliare, di mettersi in gioco, di sperimentare. Di fare qualcosa un po’ così, alla “leggera”, senza dover essere per forza perfetti e produrre chissà cosa.
Seguire il flusso
Questo è uno degli aspetti che più mi manca in questo periodo e che mi accorgo di quanto mi abbia fatto bene in passato. Il riuscire a farmi trasportare da quello che succede, sensazione spesso sperimentata in viaggio, quando abbandono la modalità programmazione/controllo e imposto il mio navigatore interno nello stato esploratore.
Incontri che sono avvenuti perché dovevano accadere, visite e luoghi scoperti senza troppa pianificazione ma semplicemente affidandomi a ciò che man mano avveniva, prendere le decisioni un po’ alla volta, in base a ciò che succedeva. Tutto quello che normalmente mi spaventa, nel flusso mi affascina. E io sono lì che mi faccio trasportare, presente come non mai.
Tornata alla routine mi rendo conto di quanto sia difficile lasciarmi andare e affidarmi a qualcosa di più grande. Che non significa aspettare passivamente che le cose succedano ma coltivare un sano senso di fiducia nella vita, direzionandomi di volta in volta seguendo l’intuito e il battere del cuore. La questione è che basta davvero poco per seppellire la parte più vitale di me sotto strati di paure, giudizi, pensieri. Polvere che si deposita giorno dopo giorno senza quasi che me ne accorga, confondendo i desideri, offuscando le rotte, facendo vacillare di nuovo tutto. Diventa più semplice affidarsi a degli obiettivi, come se il senso del vivere fosse pianificare e raggiungere certi risultati. Come se fosse quella la chiave della felicità e della realizzazione (qualunque cosa voglia davvero dire).
Sono tornata da Zanzibar piena di energia, entusiasmo e buoni propositi e fare un bilancio oggi, dopo due mesi, mi sembra quasi deludente. Dov’è finito tutto? Cosa voglio fare? Il cuore ha smesso di nuovo di battere? Ma il fulcro è proprio questo: perché continuare a giudicare, confrontare e sentirmi da meno nel comparare di continuo la realtà con l’idealizzazione?
Vivere non è stare nella testa ma uscirne fuori, agire. Lasciare pure che la radio continui a trasmettere pensieri, ansie e paure ma sapere che possiamo comunque scegliere. Fare qualcosa di concreto e farlo prima di tutto per noi. Andare avanti anche se c’è paura, muoversi anche con il dubbio, accettare il rischio di cadere sapendo che possiamo sempre rialzarci.
“Lo straordinario è riuscire a vivere nell’ordinario”.
Così ho detto a un’amica qualche settimana fa riferendomi a quanto sia facile stare (apparentemente?) bene in viaggio o in situazioni nuove ma la vera sfida sia continuare a mantenere uno sguardo aperto e accogliente nel quotidiano. Cogliere la luce e lo straordinario in ciò che ci sembra di conoscere a menadito nei suoi schemi e nelle sue forme e che pare non emozionarci più. O brilli meno rispetto ad altri vissuti. Sempre perché abbiamo il bisogno di etichettare, catalogare, confrontare. Dare un senso e un significato a ogni cosa, che però nell’eccesso diventa dimenticarsi di vivere appieno quello che succede.
E così anche io a volte dimentico che quello sguardo stupito, bambino, meravigliato che portavo in giro per Zanzibar altro non è che il mio sguardo. Quello che ho qui, sempre con me ma che a volte sostituisco con le lenti dello sconforto, del pessimismo, della paura.
“Dovunque tu vada ci sei già” è il titolo del libro di Jon Kabat-Zinn che avevo portato con me in valigia.
Un titolo che dentro ha già tutto, proprio come noi.