Qua è mattina, mi son alzata un po’ di forza dal letto perché non è il tanto dormire che mi aiuterà a riprendere energie quanto piuttosto il trovare degli attimi da dedicare a me stessa esattamente come sto facendo ora.
Il canto del muezzin scandisce l’inizio della giornata e nel nuovo alloggio in cui mi sono trasferita qualche giorno fa la moschea è talmente vicina alla mia abitazione che la sua voce rimbomba dentro la stanza. Non so cosa dica ma subisco il fascino di parole antiche e lontane, di richiami che uniscono e rituali che si tramandano inalterati nel tempo.
Questa terza settimana è volata ancora più delle altre, accompagnata dall’opportunità di poter vivere e vedere da vicino qualcosa di nuovo e diverso. Ho assistito a canti che curano e accompagnano chi ha bisogno di aiuto, melodie struggenti in cui non serve capire il significato esatto di ciò che viene cantato quanto ciò che suscitano all’interno, riti privati che vengono condivisi e mostrati non senza scettiscismo da parte di chi di noi “occidentali” vi assiste. Ho pensato a quanto anche le nostre tradizioni siano impregnate di riti e tradizioni per allontanare il male, l’invidia, la cattiveria, mi è venuta in mente la “mexina de s’ogu” in Sardegna in cui preghiere cristiane e paganesimo si fondono insieme in modo del tutto naturale.
Penso tanto in questo periodo a etichette, generalizzazioni, a come sia un bisogno naturale e umano quello di voler fornire una spiegazione a tutto e categorizzare in faldoni predefiniti ciò a cui assistiamo. Il rischio però è quello di tagliare tutto con l’accetta senza considerare le tante sfumature e la complessità di un tema, perché semplificare non vuol dire certo tendere all’omologazione e appiattire ed eliminare il confronto e la diversità.
Ancora quando passeggio per strada o partecipo alle distribuzioni di cibo e vestiti in alcune comunità sento forte addosso il privilegio di essere nata in una certa parte di mondo e sento sulla pelle quel verso cantato da Erriquez della Bandabardò che dice ciò che penso fortemente: “la fortuna è un fatto di geografia”. Cammino e sto in mezzo alle persone ma sento addosso certi sguardi e una responsabilità cucita addosso di essere dalla parte di chi ha contribuito e contribuisce a creare disuguaglianze e non so se sono io che sto vivendo tutto questo in maniera accentuata o se davvero sono questi alcuni dei pensieri che passano per la testa di chi incontro.
Mi sono confrontata con persone che credono che qua “non possiamo aiutare e non possiamo fare niente” e ho cercato di spiegare senza essere pienamente capita la frase che mi rimbomba in testa a ogni distribuzione "con una mano dai e con una mano togli” perché so di essere parte di quel sistema che produce troppo e crea disequilibri. Allo stesso tempo so che posso e che ognuno di noi può aiutare e fare in modo che il dare non sia finalizzato a eliminare una colpa lunga secoli ma sia fatto in maniera autentica, sincera, genuina, perché ognuno nella propria vita ha bisogno e trovare una mano tesa pronta a sostenerti è qualcosa che ci accomuna tutti e contribuisce a pacificare il nostro cuore.
Proprio ieri leggevo il capitolo “La generosità” del libro di Jon Kabat-Zinn “Dovunque tu vada ci sei già” che consiglia di partire da noi stessi e dice:
Provate a riversare questa energia - inizialmente a piccole dosi - verso voi stessi e altri senza aspettative di remunerazione o di guadagno. Date più di quanto credete di poter dare, fiduciosi di essere più ricchi di quanto pensiate. Celebrate questa ricchezza, date come se fosse inesauribile. Questo è “dare regalmente”.
E ancora:
Dare irriflessivamente non è mai sano o generoso; è importante comprenderne le motivazioni e riconoscere quando alcune forme di altruismo non hanno origine dalla generosità ma piuttosto da paura e mancanza di fiducia.
Coltivare consapevolmente la generosità non comporta necessariamente spogliarsi di tutto, talvolta neppure di qualcosa. La generosità è soprattutto un dono interiore, una condizione emotiva, la disponibilità a condividere il proprio essere con il mondo intero.
Scintille e bagliori della settimana
Mi piace l’idea di condividere con chi legge alcune delle scintille e dei bagliori che hanno illuminato quest’ultima settimana: dei bambini che giocano a calcio con il tappo di una bottiglia, i sorrisi di chi mi vede e riconosce per strada, il cuore verde con il didò preparato da mia nipotina in videochiamata, una cena con gli altri volontari in cui mi sono sentita più leggera riuscendo a ridere di gusto, il panettiere di fiducia e le sue mini tortine buonissime che vanno a ruba ma che ieri una bella persona ha conservato per me, delle lezioni di swahili improvvisate in spiaggia da parte di alcuni bambini, leggere il meraviglioso albo “L’onda” ad alcune classi prima delle lezioni di nuoto. E ancora: trascorrere qualche minuto dondolandomi sull’amaca concedendomi il lusso di non fare assolutamente nulla, sentire il fruscio del vento tra le fronde degli alberi e sul mio corpo, fare un complimento autentico a una delle maestre e riceverlo indietro con lo stesso entusiasmo, un incontro inaspettato con un bambino per strada e l’abbraccio e il prenderci per mano come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli sguardi curiosi delle bambine su noi volontarie e sui nostri abiti da festa e copricapi per festeggiare il matrimonio di un’insegnante, chi mi immortala mentre faccio girotondi e danze.
Di quest’ultima settimana mi porto dietro la consapevolezza che se vogliamo farci capire non servono le parole: basta una mano tesa a cercare la tua, qualcuno che ti abbraccia e nasconde il suo viso nel tuo corpo, qualcun altro che ti bussa sul braccio e ti fa segno di seguirlo perché ha qualcosa da mostrarti, un cercarsi e sfuggirsi di sguardi.
In questa esperienza stanno venendo fuori tutti i miei demoni, i miei spigoli, le parti di me con cui faccio più fatica a convivere e che vorrei eliminare. Qua tutto esplode, si confonde e si amplifica eppure ci sono persone che colgono la mia essenza pur conoscendomi appena e si aprono a me con fiducia facendomi sentire accolta esattamente così come sono e ricordandomi che sono io che posso farlo con me, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.