Sono a Zanzibar da due settimane, come ho scritto la volta scorsa mi sembra di esserci da una vita e al contempo sento non è ancora sufficiente per quello che vorrei vivere e che sto cercando. Ieri con gli altri volontari, che ormai sono più amici che semplici estranei, parlavamo proprio di questo, del tempo di permanenza qui e di come per ognuno possa essere più o meno sufficiente rispetto all’esperienza che stiamo facendo e a quello che vogliamo. Non ci sono risposte univoche e scelte prefissate, ognuno nella scelta è guidato da variabili e fattori oggettivi e soggettivi, dalla vita che conduciamo “là fuori” e che adesso mi sembra di aver messo in stand by.
Sono qui da due settimane e non mi sembra ancora sufficiente perché sento di voler andare molto più a fondo, di avere ancora tanto da cogliere rispetto a ciò che mi circonda e che sto vivendo qua. Vorrei osservare di più, capire maggiormente, fare molte più domande di quelle che già faccio, conoscere e sapere la storia, le usanze, le tradizioni e le abitudini che guidano le persone che vivono in questo villaggio sempre più invaso dal turismo e dal cemento, che secondo qualcuno permette ai locali di “vivere” e io mi domando: davvero? E in che modo?
Sto cercando un mio baricentro cercando di non essere fagocitata da un fare frenetico e in affanno che mi creo io stessa sentendomi come Atlante che sostiene sulle spalle tutto il peso del mondo, in dovere di fare sempre tutto bene e subito. Sto facendo fatica, non lo nego, a ritrovare e tenere un mio passo, ad avere quella centratura e quella postura adulta che so di poter avere perché l’ho già sperimentata in passato.
“La tua mente è come quest’acqua, amico mio: quando viene agitata diventa difficile vedere, ma se le permetti di calmarsi la risposta ti appare chiara”
dice il maestro Oogway a Shifu in Kung Fu Panda in una delle tante perle di saggezza racchiuse in questo film. Ed è proprio così: più mi affanno e cerco di scappare dalle situazioni trovando vie d’uscita, più tutto si confonde e appare ancor più aggrovigliato.
“C’è quello che c’è”
In questi giorni mi è tornata spesso alla mente questa frase che la psicoterapeuta e insegnante di mindfulness Carolina Traverso ricorda nei suoi corsi e risorse audio del proprio sito. Queste prime due settimane mi hanno messo davanti agli occhi in maniera abbastanza lampante che posso andare ovunque, scegliere di fare qualsiasi esperienza ma non è soltanto questione di cambiare luogo, lavoro o contesto esterno: quello che proviamo dipende da noi, da come scegliamo di stare giorno per giorno, momento per momento con quello che c’è. Che non significa rassegnarsi passivamente a tutto quello che abbiamo intorno e ci fa storcere il naso ma neanche accanirsi in una lotta impari cercando di cambiare a tutti i costi ciò che è scomodo e con cui fatichiamo a stare.
In questi giorni ho riconosciuto forte i miei tentativi di fuga e la presunzione di voler cambiare le cose partendo dal presupposto che sia meglio come dico io e penso io, quella tendenza all’efficienza e al voler risolvere i problemi, togliere il disagio, minimizzare il dolore piuttosto che stare con quello che c’è.
L’altra mattina mentre tornavo a casa una bambina di due o tre anni piangeva disperata tutta sola in strada. Mi sono fermata, le ho sorriso e le ho porto la mano per venire con me e accompagnarla da altre persone che stavano più avanti. Lei ha smesso di piangere, mi ha guardato e poi ha ricominciato più forte di prima. Sono stata lì a disagio, senza sapere bene come comportarmi e sentendo forte quella spinta interna di dover fare necessariamente qualcosa e subito, sì ma che cosa? Nel giro di poco tempo che a me è sembrato un’eternità lei si è messa il pollice in bocca, ha iniziato a succhiarlo e si è calmata subito.
Questa è la mia fatica a stare con quello che c’è, che mi porta a re-agire e trovare soluzioni spesso forzando le situazioni anziché offrire presenza e a stare lasciando che tutto passi e si sistemi da solo.
Semini e bagliori
Come in ogni esperienza nessun incontro avviene per caso e ci sono persone che sto per salutare e son certa dovessi incrociare sul mio cammino. I prossimi giorni saranno strani per me, con il gruppo iniziale di persone che mi hanno accolta in partenza e con altre ancora da conoscere in arrivo.
Questa settimana porto con me nel cuore gli occhi luccicanti di un bambino che chiede di poter avere delle macchinine per giocare, il cibo offertomi da un’insegnante durante l’intervallo, la stessa insegnante che vedendomi con un gonnellone da mettere in vita mi dice “vieni, ti aiuto io”, una farfalla colorata tra le stradine e le sterpaglie, le caprette che spuntano fuori saltellando dove meno te l’aspetti, il succo di mango preparato per noi ragazze da una splendida persona, degli anelli di calamari fritti giganteschi e buonissimi, la prima stella vista in cielo ogni sera, incontrare bambini per strada che ti chiamano “teacher, teacher”, camminare tra le strade polverose del villaggio, scorgere il filino di luna in cielo dopo giorni di assenza, immergere i piedi nell’acqua calda dell’oceano al tramonto.
Vorrei dedicare di più a queste parole, vorrei scriverne meglio ma c’è quello che c’è ed è questo che adesso riesco a offrire adesso con quello che ho.
Io penso che nell'aver ricordato a te stessa tutte le cose belle vissute nell'ultima settimana, tu sia stata effettivamente dove dovevi stare, senza richiedere di più, senza dover cambiare chissà cosa, semplicemente riportando nel presente quei ricordi.
E grazie per averle condivise anche con noi 🙂